Questo
passaggio all’astrattismo è frutto di un percorso artistico oppure è dovuto ad
un evento specifico o un cambio di prospettive?
La tendenza
primordiale è sempre stata l'astrazione, è una forma di essere e di pensare fin
dalla nascita, come il colore degli occhi o qualsiasi altra virtù del nostro corpo.
Più che l'astrazione, l'espressionismo astratto è il mio modo di intendere
l'arte
. Perché? Perché quando realizzo un’opera la mia mente è totalmente
libera, cosicché niente di esterno impedisca la connessione con le emozioni.
Quando accade questo nel mio corpo si susseguono profondi sentimenti, da
gioiosi e piacevoli a tristi e malinconici, fisicamente sorrido, piango mi
viene la pelle d’oca.
Man mano che l'opera progredisce l'espressionismo acquista importanza, ed è lì,
in quello stato più vicino al controllo della mente, che scopro cosa nascondeva
il mio cervello. Cerco quindi di rafforzare questa emozione, disegnandola ed
evidenziando maggiormente i colori, con molta cautela per non danneggiare
l'essenza. Ho sempre lavorato così da bambino, ma la curiosità e la voglia di
ricerca mi ha portato a voler saper disegnare con tratti lunghi, senza
sollevare la matita dalla carta, come faceva Picasso, a voler padroneggiare la
prospettiva, a dialogare con velature e consistenze nel tentativo di conoscere
tutto delle esecuzioni dell'arte, soprattutto dai grandi barocchi (Velázquez e
Rembrandt) passando per la ricca scuola impressionista.
Questi dipinti
astratti sono una novità oppure in passato aveva già sperimentato questo tipo
di soggetti?
Il mio primo contatto
con l'espressionismo astratto è avvenuto a 6 anni quando, fortunatamente, la
mia insegnante mi ha detto di fare un disegno colorato senza darmi nulla da
copiare. Questo ha lasciato la mia immaginazione libera e mi sono sentito un
pittore, da quel momento ho capito chiaramente che ero un pittore perché potevo
dire quello che pensavo senza problemi. Era il mio linguaggio, lontano dalla
matematica, dalla letteratura o da qualsiasi tipo di storia che non fosse
l'arte. Altre maestre poi mi costrinsero a copiare disegni di ogni tipo che
realizzavo alla perfezione, sempre con personalità, ma non godevano di
quell'alone magico che c’è all’interno del nostro cervello.
A 18 anni ho scoperto l'opera dei pittori informalisti spagnoli molto da vicino
nel Museo d'Arte Astratta Spagnola di Cuenca.
È stato come incontrare la mia
filosofia di vita
. Ho iniziato una serie composta da duecento opere
estremamente materiche, a volte venti centimetri di materia. La casa dei miei
genitori si trasformò in un magazzino affollato fino al punto di dover mettere
da parte il lavoro per potersi muovere da una stanza all’altra. Un brutto
giorno decisi di distruggerle tutte tranne "Mummia", quest’opera
conteneva così tante emozioni che rappresentava un suicidio sbarazzarmi di lei.
Ho iniziato allora, a 21 anni, una serie di dipinti su tela senza telaio, quasi
tutti di grandi dimensioni, 200x200 cm e 200x120 cm. Erano opere
espressioniste, con un certo carico di astrazione. Versioni di "Le tre
grazie" di Rubens e omini enormi eseguiti con tratti selvaggi, un po' alla
Willem de Kooning ma senza colori: neri, bianchi e bruni.
A 24 anni ho fatto la mia prima mostra e mi sono concentrato sul paesaggio e
sul desiderio di vendere. Ho iniziato un
lungo periodo di ricerca sul
paesaggio
, sedici anni. Volevo imparare a dipingere la mia terra (a volte ciò
che è più vicino è ciò che è più autentico): ho dipinto quattro o cinque anni
intorno allo stesso tema. Ho imparato i suoi segreti, cioè che lo rende
riconoscibile in qualsiasi cultura. È stato un compito difficile perché è molto
complesso reinterpretare in maniera personale il tema del paesaggio (molto è
stato già fatto), ma ci sono riuscito, senza fare fronzoli con il fiore o
giochi di stile in riferimento ad altri pittori.
Quando ho incontrato i segreti della mia personalità riflessi nel paesaggio, ho
abbandonato la pittura direttamente in loco e mi sono chiuso in atelier per
spremere la mia mente nel paesaggio stesso.
Le premesse erano le stesse: dare libertà alla mia mente e continuare il lavoro
nella direzione in cui le gallerie e i critici mi permettevano, trasformandola
in un bellissimo paesaggio, questo sì, con personalità e potenza.
A 40 anni la ribellione bussò di nuovo alla mia porta. Lasciai completamente il
paesaggio e
mi concentrai su una serie di tre anni completamente astratta
. Era
caratterizzata dall'insistenza verso l'ascendenza, voleva salire su qualcosa di
sconosciuto: "Scala per salire al cielo", "Scala e trono",
ecc. Qui il colore ritornò ai: neri, bianchi e rossi. Ho abbandonato per motivi
di potere, “dipingerai quello che ti lasciano” ripetevano gallerie, critici e
collezionisti.
Ho ripreso il paesaggio con un nuovo impulso creativo, ricco di materia e
colore, relativamente formalista e sono stato di nuovo un "bravo
ragazzo", obbediente e rispettoso del denaro.
Ad ogni modo, ci tengo a dire che ho realizzato un paesaggio unico, senza mezzi
termini, senza dovere a nessuno e sempre rispettando l'essenza della mia
condizione primaria.
Se si va ad
analizzare la serie “Walking Paint” sembra che essa sia un po’ il punto di
incontro tra il figurativismo e l’astrattismo. Come suggerisce anche il titolo,
l’idea di “Walking”, di movimento, di cambiamento.
È una interpretazione corretta, quindi un passaggio necessario verso
l’astrazione in generale, oppure è il punto di arrivo di questo percorso che
riguarda solo il paesaggio?
È senza dubbio
un momento di transizione, di ricerca di un'altra forma di manifestazione senza
voler rompere totalmente con l'estetica precedente.
Un punto di riferimento importante è la decisione di fare a meno del cielo, che
significa anche abbandonare la prospettiva e appoggiarsi maggiormente sulla
composizione e sulla dizione.
A poco a poco le intenzioni di dipingere il “reale” sono scomparse grazie alla
pittura utilizzata come strumento per camminare, non come oggetto da guardare.
"Walking Paint" mi ha dato gli strumenti per non perdere il mio
colore imparato negli ultimi anni e non cadere di nuovo nel nero, bianco e
rosso.
In alcuni
nuovi dipinti ha cambiato il formato. C’è un motivo? Qual è il formato che
predilige per la pittura astratta?
Mi sento
meglio con
grandi formati
. Una delle connotazioni importanti
dell'espressionismo astratto è il grande formato.
Quando "Walking Paint" si dipanava, la mia mente mi spingeva a
relazionarmi con dimensioni di circa due metri. Ho deciso di utilizzare 180x180
cm e sono molto soddisfatto, è come se con quelle dimensioni potessi catturare
meglio le mie emozioni.
Ho lavorato anche in formati più piccoli, ma anche se il risultato è buono, mi
procurano ansia e mi è tremendamente difficile risolverli formalmente.
C’è una
differenza di tecnica tra i paesaggi più figurativi e questi astratti?
Ho dato meno
importanza ai colori fluo, li uso solo in dettagli specifici. Ho scoperto
l'oro
e l'argento
e mi servono come risorsa e mezzo di comunicazione, mi sono sempre
più necessari e danno adito ad essere un veicolo carico di fonti inesauribili
di contenuto. Ho
incorporato il gel
anche per creare piccoli fili di colore e
trasparenze, a volte molto strutturati
.
Le tempistiche
di realizzazione delle opere astratte sono comparabili con quelle figurative?
La produzione
è molto simile, anche se nelle nuove opere le possibilità che tutto vada a
rotoli sono è maggiori.
Quando l’opera decide di non emergere, devo respingerla
e ricominciare da capo
. Ci sono dipinti che devo rifare più di cinque volte
perché non danno possibilità di ritocchi parziali. L'opera deve funzionare fin
dall'inizio, altrimenti non serve a niente cercare di recuperarla, non riesco
mai a connettermi con un'emozione passata. Questo provoca uno stato molto
stressante e di vigilanza continua, devo lasciare l’atelier per due giorni per
poter staccare la spina prima di cadere arreso, con il corpo e il cervello
distrutti.
Questo
passaggio all’astrattismo è definitivo oppure ha intenzione comunque di
dipingere soggetti più figurativi, magari tenendo due filoni paralleli?
Non posso
sapere con certezza quale sarà il mio futuro. Ora devo fare questo tipo di
lavori, è come un’eredità postuma d'artista. Il tempo passa inesorabilmente per
tutti. Ho visto pittori a 70 o 80 anni che provavano a fare lo stesso lavoro di
quando avevano 50 anni, soffrendo come chi lavora in fabbrica, non sarò uno di
loro. Voglio adattare il mio dipinto alle mie capacità mentali e fisiche, penso
che questo mi darà la possibilità di dipingere e divertirmi a dipingere fino
alla fine.
Sarò libero, qualunque cosa faccia, so solo cosa farò
.
Come sceglie i
colori? Cosa rappresentano?
Anche se non sembra, mi piace non scegliere i colori. Ora compro
confezioni con trenta colori a caso, così scopro cose che non mi vengono in
mente. È vero che mi capita di respingere due o tre di questi trenta senza un
motivo preciso.
Il colore mi serve per comporre il conglomerato emotivo, le unioni e gli
incontri tra un colore e l’altro sono molto importanti per me. Ci deve essere
un ticchettio magico in modo che non risulti uno shock doloroso per la vista.
Per me il colore non ha alcun significato concreto, cioè potrei dipingere con
un solo colore e le sue sfumature, e saziare il mio bisogno di esprimere. Anche
se preferisco, dato che esistono, usarne molti per coniugare una poesia ricca e
vitale quasi sempre
.
- Ulpiano Carrasco - informazioni e opere sul sito Sist'Art
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