Nella notte tra l’8 e il 9 maggio 2019, in contemporanea
all’apertura della Biennale Arte 2019, lo street artist Bansky realizza la
ormai famosissima opera “Migrant Child” in Campo San Pantalon a Venezia.
Si tratta della raffigurazione un bambino con un giubbotto
di salvataggio e una torcia segnaletica in mano che emana un denso fumo rosa
sgargiante, l’unico tocco di colore.
Visivamente e tematicamente doveva essere in dialogo con
l’opera “Barca Nostra” di Christoph Büchel, esposta all’Arsenale, la quale
ricordava il naufragio di una imbarcazione nelle acque tra la Libia e l’Italia
che portò alla scomparsa di circa un migliaio di migranti. Se il tema
dell’installazione che ha preso parte alla Biennale Arte era ben definito e
chiaro, non si può dire lo stesso per l’opera dello street artist, la quale ha
assunto significati molto più ampi.
“Migrant Child” è diventato infatti il simbolo di tutti coloro che soffrono,
indipendentemente dalla lingua, religione, cultura, provenienza, status sociale:
come sottolineato dai colori utilizzati, ossia bianco e nero, che vanno a
spersonalizzare la figura. Persone che nella indifferenza cercano di scappare
dalla propria casa, della propria terra, lasciandosi dietro tutto, magari senza
la possibilità di compiangere i propri cari che già hanno perso, mettendo a repentaglio
la propria vita pur di raggiungere un futuro migliore, sottolineato dal metaforico
fumo colorato. In questi tempi difficili, il messaggio di Bansky ha ancora la
potenza di poter comunicare ed è per questo motivo che lo raccontiamo oggi,
oltre al fatto che proprio in questi ultimi mesi è stata promossa l’ipotesi di
restaurare il graffito.
Come la voce questi individui rappresentati dal bambino
migrante, anche il messaggio di denuncia e pieno di umanità di Bansky è a
rischio di scomparire. L’opera, infatti, si trova su un muro che dà verso un
canale e l’acqua salmastra con il tempo finirà per eroderla. Già oggi,
nonostante siano passati solo poco più di quattro anni, i colori risultano
molto sbiaditi ed è in corso un dibattito pubblico tra vari enti, artisti ed
intellettuali sulla possibilità di intervenire per la salvaguardia e il
restauro del graffito. Da una parte ci sono coloro che ritengono l’intervento
di writing come qualcosa di temporaneo, che ha nella sua essenza proprio la
possibilità di scomparire per lasciare spazio ad altri disegni, altri messaggi;
dall’altra c’è chi reputa l’opera di Bansky come public art sia degna di essere
preservata, soprattutto per l’attualità del messaggio che porta con sé.
Il tema è molto caldo a Venezia, poiché viviamo in una città
antichissima sottoposta nel tempo a diverse sfide: invasioni, incendi, guerre,
epidemie, intemperie. Storicamente, ogni vicissitudine è stata trasformata in
pretesto per creare bellezza: il lascito è enorme e solo artisti del calibro di
Bansky non hanno il timore di aggiungere bellezza, per ricordarci che
l’obiettivo di ogni epoca è lasciare il segno per l’epoca che verrà, non solo
quello di preservare il passaggio di chi ci ha preceduti. A noi il compito di
essere dei custodi e dei generatori.
Voi cosa ne pensate?